Quella di passare dal lavoro dipendente a freelance è una condizione sempre più consapevole e diffusa, sempre meno frutto di una scelta passiva obbligata dalla perdita di un lavoro precedente.
Secondo un interessante sondaggio condotto nel 2018 dalle società di consulenza Eden McCallum e la London Business School, su 307 consulenti indipendenti e 94 dipendenti in Europa e Nord America, la maggior parte ha sceltoconsapevolmente di avviarsi alla libera professione e solo il 10% ha dichiarato di essere costretto in seguito ad un licenziamento.
I due terzi hanno intenzione di rimanere indipendenti per più di tre anni ed il 90% del campione ha riferito di essere più che soddisfatto della propria vita professionale.
Più incertezza, una progressione di carriera meno chiara e tangibile e grandi oscillazioni sia nel lavoro che nel reddito, nel corso del tempo. Di fronte a questi contro, sono molti i pro che fanno pendere la bilancia in favore del lavoro indipendente: maggiore flessibilità nel coniugare lavoro e vita privata, maggiore gratificazione nel lavoro, flessibilità e maggiore libertà nel districarsi tra lavoro e vita privata.
Da lavoro dipendente a freelance: le aziende cosa si adeguano alle nuove tendenze?
Una mossa molto saggia è quella di invogliare i lavoratori più talentuosi a restare in azienda, con dei benefit (non necessariamente e non solo economici) per dissuaderli dal mettersi in proprio.
- Offrire ai dipendenti più scelta e controllo sul lavoro che svolgono, avere maggiore discrezione sugli orari, sulle modalità e sugli obiettivi, dà la percezione che il lavoro svolto sia significativo e prezioso per i clienti.
- Offrire maggiore flessibilità: i lavoratori hanno bisogno di organizzare il proprio lavoro secondo i propri ritmi e sentire che approfittare delle politiche di flessibilità non sarà percepito come mancanza di impegno.
- Riesaminare le politiche aziendali sconvenienti come il congedo parentale minimo, le aspettative elevate per i viaggi, la disponibilità h24 per i clienti e le promozioni basate sulla “presenza” piuttosto che sugli obiettivi raggiunti che rendono più allettante l’autonomia e la flessibilità offerte dal lavoro indipendente.
Insomma, se le aziende vogliono adeguarsi ai tempi e non farsi scappare i lavoratori migliori, devono rimodellare i propri schemi su quelli del lavoro indipendente con un maggiore orientamento ai risultati, piuttosto che alle presenze.